SETTE GIORNI

Oggi questo blog compie una settimana. Sette giorni in cui non ho ancora deciso se pubblicizzare attraverso i social quello che scrivo o lasciare che siano gli altri a trovarmi. Sette giorni in cui, per la verità, ho pensato se continuare a scrivere oppure no. Sette giorni in cui mi sono allenato poco e male nonostante la gara di domani. Sette giorni in cui ho capito quanto la componente mentale sia importante anche in quelle cose che ci sembrano prettamente fisiche… avete presente quella frase che recita “se vuoi, puoi”, credo non ci sia nulla di più vero; qualunque sia il tuo obiettivo il primo passo è crederci, sempre.

La dose di qualunquismo giornaliera è servita, ecco l’argomento di oggi: L’approccio mentale.

Argomento difficilissimo, non sono né uno psicologo né, tanto meno, un esperto in materia, ma posso raccontarvi la mia esperienza e posso tranquillamente affermare che il sacrificio, sia mentale sia fisico, è un elemento imprescindibile per qualsivoglia disciplina.

Volere qualcosa è nella natura umana, impegnarsi per averla no. Riprendo per un attimo la frase che ho citato prima:

“SE VUOI, PUOI”

quante volte ce la siamo ripetuta, quante volte ci abbiamo creduto, quante volte ce l’hanno detta, quante volte abbiamo pensato che realmente basta volere una cosa per ottenerla? Credo tutti i giorni. Ora vi chiedo e mi chiedo: quante volte abbiamo realmente capito cosa si cela dietro queste tre parole?

Credo di avere fatto un grosso passo avanti nell’interpretazione di questa frase, probabilmente non sarò giunto alla verità assoluta ma sono convinto di avere capito molto di più di quanto non lo abbia fatto un’ipotetica media di soggetti presi a caso. Ora, il pensiero comune, del popolino, è molto molto semplice: mi metto in testa di volere scalare l’Everest e il giorno dopo lo scalo, solo perchè lo voglio, non mi interessa l’allenamento tanto io lo voglio. Tra voi starete pensando “che scoperta, è ovvio che non è possibile” ma vi sfido a poter affermare di non avere mai provato a fare una cosa di cui non sapevate nulla solo perchè vi eravate messi in testa che lo volevate.

 

 

 

 

Non è un errore di formattazione, ho lasciato volutamente questo spazio per darvi modo di provare a pensare a quanto sopra, ora che avete trovato un vostro personalissimo esempio avrete capito, come capii io a mio tempo, che questo non è volere ma uno stupido capriccio spinto dalla smania di ottenere qualcosa subito. Tutti vogliamo salire in cima all’Everest ma sono certo che se analizzassimo più profondamente la situazione nessuno sarebbe contento di trovarsi sulla cima senza aver faticato; la domanda a questo punto non è se vogliamo o meno arrivare in cima al nostro Everest ma piuttosto cosa siamo disposti a fare per raggiungerlo. E’ molto difficile impegnarsi ogni giorno per qualcosa che appare quasi un miraggio, serve tanta forza, tanta costanza, ma sopratutto tanta passione. Vedo così tante persone fluttuare per inerzia verso qualcosa che non vogliono, verso qualcosa che qualcun altro ha scelto per loro e allora mi chiedo perchè queste persone non coltivino un sogno loro. Come ho scritto nella presentazione di questo blog sognare è indispensabile, anche se nel sogno và intravista la realtà.

Trovate la vostra passione, il vostro sogno, qualcosa per cui valga la pena lottare e impegnatevi per ottenere tutto, non accontentatevi mai. Non permettete alle altre persone di scegliere per voi ma sopratutto non permettete mai alle altre persone di sminuire quello in cui credete, fatevi consigliare ma non assoggettatevi mai alle opinioni altrui, nessuno conosce il segreto della felicità, ognuno di noi ottiene la propria secondo le sue personalissime modalità.

 

A. Comai

 

 

 

 

NON SONO UN ATLETA

NON NASCO TRIATLETA, anzi, non nasco nemmeno atleta! A 6 anni comincio a praticare calcio come la maggior parte dei bambini della mia età. Questo sport mi appassiona e lo pratico fino a 23 anni togliendomi piccole soddisfazioni e giocando a buoni livelli ma odio che la mia prestazione debba dipendere da quella di altre dieci persone così, poco a poco, me ne allontano.

Nel corso della mia adolescenza coltivo svariate passioni: il calcio appunto, dai go-kart alla musica, passando per allenamenti estenuanti in palestra, le discoteche e lo studio che và così così. In tutto questo non riesco a trovare qualcosa che mi identifichi, non sono ancora abbastanza maturo per trovare il filo conduttore al quale tutti questi hobby così lontani tra loro si riconducono; col passare degli anni però trovo la risposta che cercavo: SUPERARE IL LIMITE. Ai più potrebbe sembrare una sciocchezza, il capriccio di un ragazzino, in realtà credo ci sia qualcosa di estremamente filosofico in tutto questo.

Trovo nell’atletica un ulteriore modo per misurarmi con me stesso, ma mi avvicino ad essa quasi per scherzo. Comincio col fare alcune gare di corsa con amici, al termine di ognuna di esse avverto una fortissima sensazione di benessere, più mentale che fisico. Per la verità non sono (o non ero) propriamente lo stereotipo dell’atleta, ma questo lo avevate già capito dal titolo di questo articolo: vita sregolata, sigarette a non finire, qualche buona birretta ogni tanto e pasti non del tutto salutari facevano di me tutto fuorché uno sportivo. Alcuni amici quando mi vedono mi ricordano che durante la preparazione atletica estiva per il calcio amavo nascondermi dietro i cespugli pur di saltare qualche giro di campo, altri mi ricordano che le uniche maratone che facevo erano quelle ai banconi dei bar!

Cosa è cambiato quindi in questi anni? Non esiste una risposta precisa, posso però raccontarvi un simpatico aneddoto che narro a tutti quei miei amici che parlano ancora di cespugli, sigarette e serate da incorniciare, dovrei aprire un blog anche su queste ultime effettivamente… ma questa è un’altra storia.

 

Quando: Natale 2012; Dove: in macchina; Con Chi: la mia ex morosa.

Parlando del più e del meno e di quanto avessi mangiato in quei giorni ai vari pranzi parentali lei se ne esce con una frase del tipo: “ti vedo che stai ingrassando, sembri anche meno attraente, dovresti riprendere a fare sport”. Il messaggio era chiarissimo e il mio orgoglio estremamente ferito. In quel periodo avevo completamente mollato il calcio per dedicarmi esclusivamente a playstation e uscite con amici. La sera stessa uscii di casa a mezzanotte per abbozzare un ridicolissimo tentativo di corsa, non avevo con me alcuno strumento per la misurazione della velocità ma la mia stima di una media ampiamente al di sopra di 6’30″/km per un totale di circa 2,5 km credo sia abbastanza veritiera.

Da quel momento iniziò una vera e propria ossessione per lo sport, ogni volta che uscivo a correre dovevo battermi, avevo un fuoco dentro e l’unico modo per spegnerlo era correre, correre, correre. Quello che provavo al termine di ogni sessione di allenamento o gara era impagabile, il mio cervello raccoglieva migliaia di informazioni e migliaia di sensazioni, passavo ore e ore a leggere tabelle di allenamento e guardare video per poi mettere in pratica. Tutto questo non bastava più, avevo bisogno di altro, avevo bisogno di qualcosa che mettesse a dura prova il mio fisico e la mia mente. E’ così che a fine 2014, dopo aver rotto con la morosa perchè praticavo troppo sport (il colmo eh?), iniziai a dedicarmi e ad allenarmi in tre diversi sport: nuoto, bici, corsa.

Solo ora, nel 2016, ho deciso di fare parte di una vera e propria squadra di triathlon. Non ambisco alla vittoria sugli altri, anche se essa è estremamente piacevole; ambisco a battere me stesso prima di tutto.

 

A. Comai

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